martedì 31 maggio 2016

0115 - equilibri

Sergej osserva la schiena di Anatoli che si allontana velocemente, poi china la testa e sospira. "Perfetto, come sempre nostro piano è andato a puttane" mormora tra sé, esasperato dall'ennesima situazione che sta sfuggendo loro di mano. Dopo aver infilato i piedi dall'altra parte dell'abitacolo ed aver afferrato il volante con entrambe le mani, il pianista scivola al posto di guida, avvia la macchina, ingrana la prima e preme a fondo il pedale del gas. Il motore ruggisce, facendo scattare la berlina in avanti ed inchiodando il pianista al sedile. Forse io capisce perché Anatoli odia mia macchina pensa, sorprassando il corriere a tutta velocità ed avvicinandosi al naziskin che sta correndo a gambe larghe, la testa gettata all'indietro ed il grasso che ondeggia a ritmo.
"Pam! Pam! Another one bites the dust!" canticchia tra sé e sé Sergej, osservando la pelata sudata del giovane. Non appena lo specchietto supera il ragazzo, il pianista tira il freno a mano, pianta il piede sul freno e gira il volante a destra. Le ruote della berlina si bloccano, la macchina si traversa e si ferma a pochi centimetri dalla rete metallica del parco. Incapace di frenare la sua corsa, il naziskin piomba sul cofano e crolla a terra ansimante.
"Ora tu smette di fare stronzate, da?" esclama Anatoli, decelerando fino ad un passo veloce. Arrivato a pochi metri dal ragazzo, si ferma a distanza di sicurezza, si ficca i pollici nelle tasche e divarica le gambe, pronto a reagire ad un'eventuale minaccia. "Tuoi amici già scappati, qui è rimasto solo tu".
Il giovane naziskin si piega su se stesso, appoggia le mani sulle ginocchia ed inspira rumorosamente dalla bocca. La camicia aperta gli cade lungo i fianchi, pesante di sudore. La sottostante maglietta bianca, ormai trasparente, si è appiccicata al suo petto, infilandosi tra le pieghe della pancia. "Che cazzo vuoi da me, si può sapere?" biascica ansante.
Anatoli solleva lo sguardo dal disgustoso spettacolo e nota alcune gocce di sudore che, dopo aver percorso lentamente il cranio pelato, si staccano dalle sopracciglia e raggiungono il marciapiede, bagnando il selciato e mischiandosi con la polvere. "No! Tu non parla così. Tu dice lei cosa vuole signore" esclama il russo, poi aggiunge: "sennò io spara te e fa saltare tuo ginocchio".
Margarita, fermandosi a pochi metri dal russo, scuote la testa. "Tu ricorda che qui è America. Se tu fa ciò, poi arriva polizia che spara te".
"Insomma, che cazzo vuoi da me?" ripete il ragazzo, alzando gli occhi. Il suo petto continua a reclamare aria, ma l'affanno sembra sparito. Lentamente raddrizza la schiena, appoggiando il suo culo alla fiancata della berlina per mantenere l'equilibrio.
"Tu continua con arroganza e insulti" sospira Anatoli, guardandolo dall'alto in basso. "Questa non è buona educazione".
Sergej, vedendo che il ragazzo si alza e si appoggia alla macchina, ingrana la retro e accelera. La berlina arretra, fermandosi un paio di metri più indietro. Il naziskin, senza più appoggio, perde l'equilibrio e barcolla all'indietro, ma con un inaspettato gioco di gambe rimane in piedi. La testa si volta di scatto verso l'abitacolo, i suoi occhi furenti fissi sul conducente.
Anatoli tossisce per richiamare la sua attenzione. "Palla di lardo, tuoi genitori non ha insegnato te con che tipi di madre tu non deve mai mettere contro?" dice il russo, poi con tono calmo inizia a contare: "Con madre di tua ragazza, madre natura, e madrelingua russi".
Il ragazzo si asciuga le labbra con un avambraccio, poi sibila socchiudendo gli occhi: "Tu sei solo bravo a parlare. E solo i finocchi tirano fuori le pistole".
Anatoli abbassa lo sguardo, mentre un sorriso si delinea sul suo volto. Lentamente mette la mano in tasca e si infila il tirapugni.

martedì 24 maggio 2016

0114 - cardio

Merda pensa Margarita, rendendosi conto di quello che ha appena detto. Dopo aver dato un tiro alla sigaretta, piega la testa senza scomporsi e riprende a sorridere. "Scusa, è che io non parlo bene vostra lingua".
"Pensi che questo basti, puttana?" esclama una voce in mezzo al gruppo.
Anatoli, sentendo lo scambio di battute, scende dalla macchina, si aggiusta il colletto della camicia e si appoggia al cofano, scostando con il braccio la giacca e facendo notare a tutti la pistola nella fondina. "Signorina, vuole che io infila testa di stronzetto dentro suo culo?"
Margarita, senza voltarsi, fa un cenno negativo con la mano. "Niet, io ha solo sbagliato a dire. Loro ha ragione, io deve loro mie scuse".
Nel gruppo inizia a levarsi un leggero mormorio. I ragazzi si scambiano occhiate preoccupate, inframezzate da veloci sguardi nella direzione del corriere. La sicurezza dei giovani naziskin si sgretola velocemente davanti allo sguardo deciso di Anatoli e di fronte all'espressione di Margarita, che continua a sorridere senza battere ciglio, come se le minacce dei ragazzi non valessero nulla. 
"Io me la batto" mormora uno dei tizi, allontanandosi dal gruppo ed iniziando a correre lungo il marciapiede. I compagni non se lo fanno ripetere due volte e si gettano all'inseguimento del loro amico. Sentendo le grida alle sue spalle, anche il ragazzo che fronteggia Margarita si volta di scatto e si dà alla fuga. Dopo poche falcate riesce a superare l'ultimo della fila, un grassone pelato e con la barba che sta già ansimando per la fatica.
La spacciatrice si gira verso Anatoli, ancora appoggiato sul cofano. "Forse tu riesce a fermare palla di lardo".
Il corriere si alza sbuffando, infila un braccio nell'abitacolo e recupera dalla tasca portaoggetti una lattina di soda ancora sigillata. Dopo aver valutato la distanza, Anatoli si allontana di un passo dalla macchina e scaglia la lattina in aria; il piccolo contenitore d'alluminio disegna un arco perfetto e colpisce il ragazzo ad una spalla, esplodendo in un tripudio di acqua e schiuma. Il naziskin precipita faccia a terra, battendo il mento sul selciato.
"Centro perfetto!" esclama Anatoli, mostrando il pollice a Margarita. "Ora basta caricare lui in bagagliaio".
"Tu aspetta a dire ciò" ribatte la donna, indicando il ragazzo che si è faticosamente alzato ed ha ripreso a correre.
"Sacco di merda è più resistente di quanto io pensava" mormora il corriere, scattando in avanti e gettandosi all'inseguimento. L'asfalto corre veloce sotto i suoi piedi, ma il ragazzo, nonostante gli svariati chili di troppo e la botta alla schiena, ha già guadagnato un bel vantaggio. Io odio sudare dentro vestito buono pensa rabbiosamente, allentando il nodo della cravatta e stringendo tra i pugni le maniche per evitare che la giacca si gonfi.

martedì 17 maggio 2016

0113 - tattiche di abbordaggio

La berlina accosta lungo Warren Street, lasciando sfilare un paio di macchine. Anatoli osserva schifato la facciata della chiesa a pochi passi dalla strada, un misto di mattoni a vista e di cemento imbiancato, poi nota le porte, rosse come il sangue e decorate con inserti in metallo dorato. Il suo sguardo si sposta sul parcheggio vuoto accanto all'edificio, che un cartello afferma essere di proprietà della chiesa. Una grande insegna al neon, montata su una struttura di metallo, esalta la gloria del Signore; il rosso fluorescente delle prime righe si mescola con il blu ed il verde delle altre, creando riflessi strani sulle pozzanghere e facendo venire mal di testa al russo. Solo americani può pensare di costruire merda simile pensa il corriere, reprimendo l'impulso di vomitare.
"Tu suona davvero lì dentro?" chiede Anatoli, voltandosi verso Sergej.
"Da. Loro ha organo nuovo, ben accordato".
"Tu ha qualcosa di bacato in tuo cervello".
"Noi non è qui per chiesa, noi è qui per trovare informazioni su aggressione" interviene Margarita. "Teste di cazzo laggiù forse sa qualcosa".
I due russi si voltano a guardare un gruppetto di ragazzi appoggiati alla recinzione del parco, ad una ventina di metri dalla macchina. Bianchi, in jeans scuri e camicia aperta sul petto, stanno urlando insulti razzisti ad una coppia di vecchietti di colore che cammina lentamente sul marciapiede; i due poveretti, tremanti di paura, accelerano il passo senza alzare lo sguardo, temendo che i ragazzi raccolgano qualunque loro gesto come una sfida e passino dalle parole ai fatti. Quando i vecchietti danno loro le spalle, uno dei naziskin strizza una lattina di birra e gliela lancia contro, provocando l'ennesimo sussulto nei due e scatenando una nuova ondata di risate tra i ragazzi.
"Da, forse loro conosce aggressori" ribatte Anatoli, lo sguardo duro ancora fisso sul gruppetto. Le aggressioni senza motivo non gli sono mai piaciute. "Noi torchia loro finché loro non dà nome, da?"
"Magari noi è fortunati e uno di loro è coinvolto in pestaggio" commenta Sergej.
"Noi non deve essere collegati ad affare!" ribatte Margarita. "Voi ricorda, da? Se loro parla, noi è fottuti".
"Morto non può parlare" sentenzia Anatoli. Il suo volto si contrae in un ghigno ed una strana luce appare nei suoi occhi.
"Tuo discorso è sensato" mormora la spacciatrice, infilandosi in bocca una sigaretta.
"Tu ritiene necessario uccidere naziskin?" esclama Sergej, allarmato. "Noi può prendere solo uno, bendare lui e interrogare in altro luogo".
"Facile che coglione riconosce noi da accento" ribatte Margarita, frugandosi in tasca alla ricerca dell'accendino.
"Noi può usare grande abilità di Anatoli con lingua".
"Tu ha ragione! Lui sa imitare orribile accento yankee!" ridacchia la spacciatrice con la sigaretta in una mano e l'accendino nell'altra.
Il corriere scuote la testa. "Io ha difficoltà a mantenere accento".
Margarita avvicina la fiammella alla punta della sigaretta, aspira una lunga boccata, poi riflettendo esala il fumo fuori dal finestrino. "Tu preferisce se io porta uno membro di banda qui, così voi carica lui in macchina?" propone alla fine.
"Da, molto meglio" esclama Anatoli sorridendo. "Se loro fissa tue tette, nessuno nota tuo accento".

Margarita scende dall'auto, spegne la sigaretta sotto la scarpa e si dirige verso il gruppetto. Uno dei ragazzi dà di gomito ai compagni, che ammutoliscono di fronte alla ragazza: nonostante i vestiti larghi e le scarpe comode, la russa ancheggia e si atteggia come una top model, stimolando le loro fantasie più oscene. Un paio le fischiano dietro, un altro prende coraggio ed esclama: "Ehi, bellezza! Che ne diresti di un pompino?"
Quando Margarita sorride, tutti i ragazzi cominciano a ridacchiare. Il ragazzo, incitato dai compagni, si avvicina e si piazza davanti alla donna, appoggiando un pugno sul fianco. "Allora?"
"Tu fa me pompino e io dà te droga?" esclama la russa continuando a sorridere.
Il gelo cala sul gruppo. Il ragazzo si volta verso i compagni, che si stanno guardando tra loro: tutti cercano di capire se anche gli altri hanno sentito la stessa cosa. Un altro membro della banda, alto e magro, si avvicina. "Ehi, troia, scusati con il mio amico".

martedì 10 maggio 2016

0112 - l'intimidazione funziona sempre

Anatoli, seguendo le indicazioni fornite da Sergej, svolta all'incrocio e prosegue lungo la via principale che porta alla chiesa battista. Una vecchia Ford Mercury, dal parafango arrugginito e dalle fiancate piene di ammaccature, si immette da una laterale senza rispettare lo stop ed il corriere manifesta il suo disappunto con ripetuti colpi di clacson. L'uomo alla guida, procedendo ben al di sotto del limite consentito, volta la chioma color agento, abbassa il finestrino e lentamente mostra il medio.
"Vecchietto ha fegato" esclama ridendo Anatoli. Quando il vecchio ritira la mano, il corriere scala, affonda il pedale del gas e supera la vecchia Ford.
"Mmh... da" mormora distrattamente Margarita, continuando a guardare il display del cellulare. Da Philip ancora nessuna risposta. Brutto stronzo, perché tu non risponde? Forse io fa prima a chiamare.
Al terzo squillo una voce impastata dal sonno risponde. "Pronto? Chi cazzo rompe a quest'ora?"
"Privièt, Philip!" esclama la spacciatrice.
"M... Margarita?" balbetta il ragazzo; ogni traccia di sonno è sparita dalla sua voce.
"Come va, amico mio?" chiede la donna, con tono appena appena minaccioso.
"Bene, bene... sto tirando su i soldi che ti devo". La voce di Philip si fa di colpo piagnucolante: "Mi bastano solo un altro paio di giorni! Non farmi spaccare le gambe!"
"Tu ha problemi a recuperare denaro? Se tu preferisce, io può lasciare te più tempo in cambio di favore. Io poi aspetta per soldi. E io anche aspetta per tue budella".
Anatoli, sentendo la battuta di Margarita, rincara la dose. "Dì a tuo cliente che se lui non fa noi favore" grida per farsi sentire dal ragazzo, "io usa sue interiora per decorare albero di natale!"
Dall'altro capo della cornetta si sente un gridolino stridulo. "Accetto! Accetto! Ma tieni il tuo amico lontano dalla mia pancia, per favore! Ti prego!"
"Da, da" ridacchia Margarita. "Terrò io lui a bada".
"Cosa dovrei fare?" chiede il ragazzo con voce tremante.
Margarita sorride: il ragazzo se la sta facendo sotto dalla paura; trema alla prospettiva di dover fare qualcosa di pericoloso. E sa di non avere altre possibilità.
"Tu deve fare cosa semplice semplice. Tu deve convincere persona di comprare cosa da te".
"O... ok" balbetta il ragazzo, senza capire del tutto il significato delle parole della spacciatrice.
"Bene. Io chiama te domani e da te dettagli su chi chiamare e su cosa dire. Tu domani è libero, vero?" aggiunge la spacciatrice, un velo di minaccia nella voce.
"Sì! Sì sì sì!" risponde Philip, la voce resa acuta dalla paura. "Va bene" aggiunge sospirando.
"Dì lui che se è occupato" esclama ad alta voce Anatoli, "lui da noi numero di suo impegno. Noi pensa a liberare lui domani".
"No, no" piagnucola il ragazzo. "Rimando l'appuntamento con la mia ragazza! Sono libero, lo giuro!"
"Bene" conclude Margarita, trattenendo le risate. "Ora tu può tornare a dormire".
"Come se adesso potessi riprendere sonno" borbotta Philip, chiudendo la conversazione.
La spacciatrice infila in tasca il cellulare e si appoggia soddisfatta al sedile. "Noi ha intermediario".
"Se voi ha finito con minacce a poveraccio" interviene Sergej, "voi può dedicare vostra attenzione a chiesa battista. Noi è arrivati".

venerdì 6 maggio 2016

0111 - organizzare i contatti

Margarita spegne la sigaretta e sale in macchina. I due russi smettono di parlare e si voltano a guardarla, come se lei avesse tutte le risposte che stanno cercando.
"Cazzo vuole voi da me?" esclama, incrociando istintivamente le braccia.
"Noi ha nomi di possibili colpevoli" dice Anatoli. "Alexei però ha detto che noi deve risultare estranei a vicenda. Forse tu conosce modo per fare ciò".
Margarita china la testa e chiude gli occhi per cercare di estraniarsi da tutto, cercando di pensare ad una soluzione. I due russi rimangono in silenzio per un po', poi Anatoli, spazientito dall'attesa, tossisce per richiamare l'attenzione della donna. "Tu è ancora tra noi?"
"Da, da" esclama sbuffando la spacciatrice. "Io può contattare piccolo tossico che deve me favore, noi usa lui come intermediario".
"Mi piace tua idea" esclama Anatoli, sorridendo. "Noi usa pedina sacrificabile".
Gli occhi di Margarita diventano due fessure. "Io tengo a miei clienti!" sbotta, aggrappandosi ai sedili e tirandosi di scatto in avanti.
Anatoli, preso alla sprovvista, arretra col bacino; il volante gli si pianta nella schiena ed un breve colpo di clacson risuona nell'isolato. Un paio di persone si voltano verso la macchina, poi riprendono a camminare.
 "Scusa, io non voleva. Noi deve solo incastrare stronzi. Ogni tanto io dimentica che io non lavora più in ambasciata".
Margarita continua a fissare il russo per alcuni lunghi secondi, poi prende il cellulare e comincia a scorrere la rubrica. Quando raggiunge la lettera P, si ferma e sorride. "Io ha candidato perfetto, Philip. Lui ha finito da poco università e deve me cento dollari. E' poco, ma è cliente abituale. Io può convincere lui dando compenso in erba".
"Tu è sicura?" chiede Sergej.
"Da. Voi scopre indirizzo di coglioni, io intanto contatto Philip".
"Come noi può fare? Noi ha solo nomi".
"Come sempre io deve fare tutto!" esclama Margarita, appoggiando la schiena sul sedile. "Voi è bravi solo con pistole! Ed io non è sicura che tua funzioni a dovere" aggiunge, indicando l'inguine di Anatoli.
Sergej scoppia a ridere. Il corriere lo fulmina con uno sguardo, poi chiude gli occhi e ricomincia a contare.
"Perché noi non guarda su elenco telefonico?" propone il pianista.
"Su internet è meglio!" ribatte Margarita.
"Io dubito che noi trova indirizzo in rete. Io non pensa che loro è tanto coglioni da mettere indirizzo su Facebook".
"Tentare non nuoce".
Sergej sbuffa, poi apre un browser sullo smartphone e cerca su vari siti, senza risultato, poi passa a Facebook. "Io ha trovato contatto di James Rott. Io non vede indirizzo di casa".
"C'è sede di lavoro?" chiede Margarita.
"Da. Capo di magazzino di Walmart" legge Sergej, poi alza gli occhi. "Io scommette che lui è semplice magazziniere".
"Voi trova altro indirizzo" esclama Margarita, poi si concentra sul cellulare, iniziando a digitare il messaggio per il tossico.
"Anatoli, tu ha qualche idea?" chiede il pianista.
"Niet".
"Noi intanto può provare davanti a chiesa battista" propone Sergej, poi si avvicina ed abbassa la voce. "Così lei non può rompere palle con storia che noi non fa nulla".
"Io ha sentito" esclama Margarita, senza togliere gli occhi dal telefonino. Le sue dita si muovono velocemente sulla tastiera virtuale; una volta composto il messaggio per Philip, la spacciatrice preme il tasto Invia.

mercoledì 4 maggio 2016

0110 - la palestra di Pavlov

Nonostante l'ora tarda, entrambe le porte a vetri della palestra di Pavlov sono ancora aperte e dall'interno giungono le esclamazioni della gente che si allena miste alle note di Hey Boy Hey Girl dei Chemical Brothers sparata a tutto volume.
Anatoli guarda da entrambi i lati, poi fa un cenno ai due compagni ed attraversa la strada. Quando varca la soglia, l'acre odore di sudore riempie le sue narici, facendogli per un momento girare la testa. Una decina di persone sono intente a sollevare pesi, altre stanno utilizzando macchinari che hanno visto tempi migliori. Al centro della palestra c'è un ring, occupato da due uomini con guantoni e caschetto che se le stanno suonando di santa ragione.
"Dove cazzo è Pavlov?" chiede Sergej ad alta voce, per sovrastare la musica.
"Lui è sempre in giro a fare cose strane" risponde Anatoli, osservandosi intorno. Un uomo tutto muscoli in canottiera e pantaloni della tuta, che sta contando a pieni polmoni accanto ad un ragazzo mingherlino disteso su una delle panche, attira la sua attenzione. 
"Quello deve essere dipendente di Pavlov" esclama rivolto ai compagni, poi si avvicina e gli batte sulla spalla.
"Che c'è? Non vedi che sono impegnato?" urla l'uomo, raddrizzandosi. Dopo aver notato la giacca e la camicia immacolate del corriere, sul suo volto compare un sorriso imbarazzato. "Mi scusi, pensavo fosse uno degli scansafatiche che si allenano qui".
"Tu sa chi è noi?" chiede Anatoli, guardandolo storto.
"No, mi spiace".
"Noi è amici di Pavlov. Io non va spesso né in chiesa né in palestra" commenta osservando i grossi muscoli dell'uomo, poi aggiunge in tono scherzoso: "Io fa altro genere di palestra. Tu sa dove essere Pavlov?"
"Non è qui, ha detto che andava via per lavoro".
"Da, anche noi riesce a vedere che lui non è in palestra" commenta Margarita, soffermandosi per un momento sul culo di uno dei ragazzi che si stanno allenando e riportando poi lo sguardo sull'allenatore.
"Avete provato a chiamarlo sul cellulare?"
"Suo cellulare non è raggiungibile" esclama Anatoli.
"Succede spesso. Cosa posso fare per voi?" chiede sorridendo l'uomo, nel tentativo di recuperare dalla gaffe fatta qualche momento prima.
"Noi sta cercando tizi che forse frequenta questa palestra" risponde la spacciatrice.
"Tipo?"
"Quattro bianchi, trent'anni circa, capelli rasati, muscolosi, tanti tatuaggi".
L'allenatore ci pensa un po', poi fa una smorfia e solleva le spalle. "Qualcuno che corrisponde c'è. Di solito però sono scansafatiche, vengono per un paio di lezioni e poi non tornano più".
"Forse perché qui ci sono negri?" chiede Anatoli, indicando con il pollice un uomo di colore che sta allenando i bicipiti.
"Afroamericani" lo corregge Sergej.
"Anche" conferma l'allenatore annuendo. "Non farti problemi ad usare la parola negro, sono abituato con Pavlov".
"Niet, niet!" esclama Anatoli infervorandosi. "Tu non paragona me a sporco razzista di Pavlov. A me stanno su cazzo tutti, indipendentemente da colore di pelle".
"Vecchia storia di io non conosce te, ma io presume che tu è peggio di altri" sbuffa Sergej, prendendosi un'occhiataccia dal compagno.
"Vuoi che io seppellisce te sotto terra e poi butta sopra tutta erba?" sibila Anatoli, fissandolo con ira.
"Io, io vuole tutta erba sopra!" esclama sorridendo Margarita.
Anatoli chiude gli occhi e conta fino a dieci per sbollire la rabbia, poi si volta di nuovo verso l'allenatore, che sta osservando la scena con sguardo perplesso, incapace di seguire il discorso. "Io mi scuso per aver usato brutta parola. Poi io offre te birra".
"Come ho già detto, non farti problemi" sorride l'uomo.
"Tu ha nomi di queste persone?"
"Sì, un paio si sono registrati".
"Bene, noi inizia con quelli" esclama Anatoli, spostandosi verso il bancone vicino all'entrata.
L'allenatore si piazza dall'altra parte, afferra un registro e comincia a spulciare i vari fogli. Dopo aver trovato la riga giusta, scrive un paio di nomi su un foglietto e lo consegna al corriere, che osserva deluso l'appunto: James Rott e Ryan Bowerfield. "Peccato, nessuno con nome tedesco".

lunedì 2 maggio 2016

0109 - segni distintivi

La maîtresse clicca su una delle icone presenti nel menu, scorre una lista di file ed avvia la riproduzione di quello della sera precedente. Dopo aver armeggiato un po' con i comandi, seleziona la scena dell'arrivo dei quattro individui.
"Ecco, questi sono stronzi che hanno pestato me" esclama, indicando le immagini con un'unghia laccata di viola.
Margarita osserva con attenzione le immagini, cercando di cogliere ogni dettaglio dei quattro uomini inquadrati dall'obiettivo che attendono nell'ingresso l'arrivo delle ragazze. Sui trent'anni, pelle chiara, capelli rasati e atteggiamento rilassato. I più grossi indossano felpa e jeans, gli altri due dei bomber da cui spunta il colletto di una camicia a quadri. Ai piedi di tutti e quattro, anfibi scuri dalla suola larga.
"Io non conosce nessuno di loro, ma io ha già visto questo" esclama la spacciatrice, premendo il tasto per stoppare il video ed indicando un tatuaggio che spunta dal colletto del naziskin più massiccio.
"A quello manca lobo di orecchio" commenta Anatoli, osservando meglio il suo profilo. "Guardate anche suo occhio, sembra abbia grosso livido".
"Da" conferma Zoya. "Loro sembrava appena usciti da rissa".
"Forse loro ha avuto incontro con valigetta" ridacchia il corriere.
Sergej volta gli occhi verso di lui, poi scuote la testa e sbuffa. "Tu andrà avanti ancora molto con storia di valigetta?"
"Da, io pensa di sì".
Margarita intanto si fruga in tasca, recupera il cellulare e scatta una foto al monitor. "Se noi fa vedere foto in giro, forse noi riesce a scoprire chi è grosso coglione".
"Quindi?" chiede la maîtresse, voltandosi a guardare i compagni e toccandosi distrattamente il livido sulla guancia.
"Loro è muscolosi, forse frequenta palestra di Pavlov" dice tra sé e sé Margarita, poi alza gli occhi ed incrocia lo sguardo di Anatoli. "Può essere buon posto per iniziare nostre ricerche".
"Anatoli, fuori da chiesa battista in cui suono c'è sempre gruppo di coglioni che insulta parrocchiani di colore" aggiunge Sergej. "Dopo palestra noi può andare anche lì".
"E da tanto che tu non confessa te, da?" esclama la spacciatrice, sorridendo.
"Da, ma io non voleva dire questo. Forse naziskin fuori da chiesa conosce responsabili di pestaggio".
"Religione è oppio di popoli" borbotta Anatoli, scuotendo la testa.
"Niet oppio! Meglio cocaina" commenta Margarita facendogli l'occhiolino, poi si stacca dal muro ed esce dalla stanza. "Muovete vostri culi, noi non ha tempo da perdere! Io ha anche miei affari da gestire!"
"Ricordate mia richiesta!" grida Zoya, mentre il gruppo esce dalla porta principale e si dirige alla macchina.